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mercoledì 30 luglio 2008

Rapporto ICE: è l'Export che tiene a galla l'Italia.

Foto di Rocco: Alba in riva al lago.

Rocco mi ha inviato questa foto, vago ricordo di vacanze primaverili in montagna, a proposito, John Ruskin ( http://it.wikipedia.org/wiki/John_Ruskin )scrittore e critico inglese parlando delle montagne diceva: "Sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle". Non so bene di quali montagne si tratti, ma dopo una descrizione del genere e guardando questo spettacolo ci si risolleva l'animo, anche se magari mentre ammiri questa esplosione di natura, hai altre faccende a cui pensare, tipo: Le bollette, l'affitto, le tasse, la tua squadra che ha perso, comprare i libri ai figli ecc... Rocco è un appassionato fotografo naturalista, gli piace puntare l'obiettivo soprattutto su tutti quegli animali con penne e becco che svolazzano fra gli alberi, ma lui non si accontenta di guardarli seduto sulla panchina del parco, lui parte la mattina prima dell'alba, armato fino ai denti con l'attrezzatura per gli agguati, le sue armi micidiali sono: Due Canon professionali,obiettivo, grandangolo,treppiedi, e tuta mimetica; All'alba si trova già sul posto, si mimetizza con l'ambiente, e aspetta, aspetta, aspetta delle ore con l'obiettivo puntato su tutto ciò che vola, e poi ogni tanto mi manda qualche foto che gli è piaciuta particolarmente; Comunque ritornando alle montagne non posso non citare Friedrich Nietzsche ( http://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Nietzsche )filosofo tedesco, che diceva delle montagne: "Non già l'altitudine bensì la ripidezza è terribile." Concludo questo post, proponendovi la lettura del rapporto dell'ISTITUTO COMMERCIO ESTERO,sul mercato italiano delle esportazioni, in sostanza il rapporto dice che non va tanto male, si prevede una piccola ripresina entro la fine dell'anno 2008, staremo a vedere.

Rapporto ICE ( http://www.ice.it/ ).

Nonostante il generale deterioramento della congiuntura economica internazionale, associato ad una forte accelerazione dei prezzi delle materie prime e ad un consistente apprezzamento dell’euro, nel 2007 è stato ancora una volta l’export la vera ciambella di salvataggio dell’Italia. Per un Paese che da tempo vive una fase di sostanziale stagnazione economica (sono di queste ore le stime del Fondo Monetario Internazionale che inchiodano la crescita del Pil 2008 allo 0,5%), i dati diffusi dal Rapporto ICE sul posizionamento dell’Italia nell’economia internazionale forniscono un quadro tutto sommato confortante. Infatti, grazie soprattutto all’aumento del peso sul commercio mondiale di settori come l’industria meccanica e dei prodotti in metallo, in cui il nostro Paese ha un vantaggio comparato, le esportazioni sono cresciute dell’8%, portando la quota dell’Italia sull’export mondiale di merci dal 3,5% al 3,6%. Il contestuale minore incremento delle importazioni, passate dal 5,9% al 4,4% tra il 2006 e il 2007, ha ridotto fortemente il disavanzo della bilancia commerciale, passato da –20.452 a – 9.447 milioni di euro. Dati certamente apprezzabili che però scontano la forte dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero: non tenendo conto del comparti dei minerali, la bilancia commerciale sarebbe in attivo di oltre 37 miliardi di euro, in crescita rispetto ai meno di 30 miliardi del 2006.
Questi numeri confortanti, rileva il Rapporto, sono da imputare alla capacità delle nostre imprese di rispondere alle accresciute pressioni competitive, reagendo all’apprezzamento dell’euro adottando strategie di discriminazione dei prezzi tra i diversi mercati e migliorando la composizione qualitativa delle vendite. Dal punto di vista geografico, Germania e Francia rimangono i principali mercati di sbocco delle esportazioni Made in Italy, con quote rispettivamente del 12,9% e del 11,4%: su gradino più basso del podio la Spagna (7,4%) che ha scavalcato gli Stati Uniti (6,8%). I saldi commerciali dell’Italia sono migliorati con quasi tutte le aree geografiche, in particolare con i Paesi emergenti e quelli produttori di materie prime, la cui capacità di acquisto è notevolmente aumentata. Inoltre, le esportazioni italiane sono cresciute in valore a tassi superiori al 20 per cento in Russia (+25,6%), Nordafrica (21,2%), Medio Oriente (24%), Asia centro-meriodionale (21,5%), America Latina (21,7%), interrompendo quasi ovunque la tendenza declinante delle proprie quote di mercato.
Negli ultimi anni la geografia delle esportazioni italiane si è orientata maggiormente verso le aree emergenti, in particolare quelle più vicine, e verso i Paesi produttori di materie prime, allontanandosi progressivamente dai mercati più maturi, come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, malgrado lo stimolo ad una maggiore integrazione derivante dall’introduzione dell’euro. Nel fare questo le nostre esportazioni hanno dimostrato una maggiore flessibilità rispetto all’evoluzione della domanda mondiale. Alla forte contrazione del deficit della bilancia commerciale hanno contribuito quasi tutti i settori industriali, ma, come accennato, i dati migliori giungono dall’industria meccanica, in particolare nei beni d’investimento, dai mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli, dall’industria elettrica ed elettronica e dai derivati del petrolio. Molto più contenuto il contributo dei settori tradizionali del made in Italy, con cedimenti vistosi nelle calzature, negli elettrodomestici, nelle piastrelle ceramiche e nel tessile-abbigliamento, nonché nei prodotti farmaceutici.
Nella classifica mondiale del commercio l’Italia si colloca in settima posizione. La prima piazza è occupata dalla Germania con una quota di mercato del 9,7%, seguita dalla Cina (8,9%) che ha scalzato gli Stati Uniti (8,5%), dal Giappone (5,1%), dalla Francia (4%) e Paesi Bassi (4%).
Analizzando i dati delle esportazioni sotto il profilo regionale, il Rapporto evidenzia come il nuovo guadagno di quota dell’Emilia Romagna (dal 12,7 al 13%) e il recupero della Lombardia (dal 28,6 al 28,8 per cento) siano legati soprattutto alla loro specializzazione nell’industria meccanica. Il balzo registrato dalla quota del Mezzogiorno (dall’11,3 all’11,7 per cento) – e al suo interno l’ascesa di Abruzzo, Basilicata e Sicilia – derivano soprattutto dai mezzi di trasporto e dai prodotti petrolchimici. Di contro, il declino della quota del Piemonte (dal 10,7 al 10,5%) può essere ricondotto ai cambiamenti di localizzazione dell’industria automobilistica, in direzione di altre regioni italiane e di altri Paesi. Hanno inoltre tendenzialmente perso quota negli ultimi anni alcune regioni più intensamente orientate verso i settori tradizionali del made in Italy, come il Veneto, la Toscana, la Puglia e la Campania.
Se il 2007 ha in sostanza confermato il periodo di forte vitalità del nostro export, qualche campanello d’allarme risuona per l’anno in corso. I dati contenuti nel Rapporto ICE riguardanti i primi tre mesi del 2008 registrano infatti una brusca frenata delle esportazioni, aumentate solo dello 0,7%, cui fa da contrappeso una diminuzione delle importazioni pari all’1%. Le stime per l’intero anno, recita il Rapporto, confermano la tendenza negativa, che riflette il generale deterioramento della congiuntura internazionale a cui va associata la forte accelerazione dei prezzi delle materie prime che si traduce in una perdita delle ragioni di scambio e trasmette impulsi inflazionistici a tutta l’economia. Il Rapporto segnala poi altri fattori critici a livello internazionale: difficoltà nelle relazioni economiche, crisi istituzionale europea e una “pericolosa domanda di protezionismo che serpeggia in molti ambienti”. Problemi che valgono a maggior ragione per l’Italia che oltre ad una crescita economica scesa ad un tasso tendenziale dello 0,3% sconta una serie di debolezze strutturali ancora irrisolte, non compensate dai passi avanti realizzati negli ultimi anni nel risanamento dei conti pubblici.
Tra i principali vincoli strutturali che frenano la crescita, rileva il Rapporto ICE, quello della restrizione della concorrenza dei mercati, da cui dipende l’efficacia del processo di selezione delle imprese e l’intensità degli stimoli all’innovazione. Inoltre, l’Italia soffre di un evidente deficit di apertura internazionale: la quota di produzione destinata ai mercati esteri e la porzione di domanda interna coperta dalle importazioni, pur essendo aumentate, restano le più basse tra i grandi Paesi europei. Un numero crescente di imprese italiane sta imparando i percorsi dell’internazionalizzazione, ma il ritardo da colmare è ancora ampio e certo non aiutano le ridotte dimensioni delle imprese. Infine, la capacità del sistema economico italiano di attrarre investimenti esteri, anch’esso nettamente inferiore rispetto agli altri Paesi europei, sembra essersi ulteriormente ridimensionata negli ultimi anni.
Più in generale, dopo anni di forte espansione produttiva e di aumento dell’integrazione internazionale, le prospettive dell’economia mondiale si vanno oscurando sotto la spinta della perdurante crisi degli Stati Uniti, delle tensioni nei sistemi finanziari, dei rincari delle materie prime - che si intrecciano a quelle dei prodotti alimentari - e delle pressioni inflazionistiche. Questo quadro è reso ancora più incerto dai forti dubbi circa una positiva conclusione del Doha Round, il processo di liberalizzazione e regolamentazione degli scambi multilaterali avviato ormai sette anni fa presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Senza dimenticare che l’Europa, spesso indicata come un modello per le altre regioni, è impacciata dalla sua crisi istituzionale, pur rimanendo il primo esportatore mondiale e il primo investitore all’estero.

Pillola del giorno: La cosa più deliziosa non è non aver nulla da fare: è avere qualcosa da fare, e non farla!
Marcel Achard.

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